Congresso AMCI- FEAMC-Etica laica ed etica cristiana- Prof Francesco D'agostino

BIOETHICS AND CHRISTIAN EUROPE Rome, November 15-18.2012 Francesco D’Agostino ETICA LAICA ED ETICA CRISTIANA 1. Il problema del corretto rapporto tra etica laica ed etica cristiana si è posto fin dal primo delinearsi della bioetica, che molto è debitrice, sotto tanti profili, alla ri-flessione teologica, in particolare cattolica. E' problema ancora in gran parte a-spro ed irrisolto. E non potrebbe essere diversamente, dato che ancora aspra ed irrisolta è la ben più generale questione del ruolo della religione nella modernità e della sua legittimazione ad orientare le coscienze in un mondo secolarizzato. Le considerazioni che seguono riflettono sul tema, in una prospettiva, come si potrà vedere, molto limitata. 2. La modernità è dominata da un paradigma di pensiero elaborato inizialmente dall’ illuminismo, e successivamente rimodellato dall’idealismo, dal materialismo storico e dal positivismo. Secondo questo paradigma, la religione rappresenterebbe uno stadio immaturo del pensiero umano a causa del suo approccio sentimentale alla ve-rità, un approccio più forte sì dell’approccio meramente estetico (che avrebbe dalla sua unicamente la dimensione della sensibilità), ma meno forte, meno degno e de-stinato comunque a cedere di fronte a un diverso, superiore e definitivamente ma-turo approccio al sapere, quello compiutamente razionale. Razionalità significa, per la c.d. filosofia classica tedesca, filosofia; per il marxismo dialettica; per il positi-vismo scienza, metodologicamente ed empiricamente garantita. In sintesi: nella modernità, l’unico pensiero dotato di fondamento autentico –e quindi meritevole di possedere un rilievo pubblico- sarebbe quello che sia in grado di esibire le proprie ragioni e di conseguenza l’unica etica legittima sarebbe quella disposta a riconosce il primato epistemologico del pensiero scientifico e a modellarsi su di esso. Di con-seguenza, nella modernità la religione –pensiero intuitivo e metodologicamente di-sarticolato, oltre che privo di principio di ogni possibilità empirica di verificare i propri asserti- quando non è attivamente perseguitata (il che nel Novecento è ac-caduto e vistosamente) viene nel migliore dei casi ad acquisire uno statuto sociale sostanzialmente “protetto”: avendo perso ogni legittimità pubblica, essa riesce ad ottenere riconoscimento sociale solo nei limiti in cui accetti di presentarsi come una delle diverse, numerose dinamiche etiche private interne ad una società civile, che si riconosce con propria profonda soddisfazione come secolarizzata, cioè plu-ralistica, tollerante e illuminata. 3. Questo paradigma, pur essendo sociologicamente dominante, in particolare tra gli scienziati, è teoreticamente obsoleto, per diverse convergenti ragioni. E’ obsoleto perché riconosce alla scienza e alla sua pur straordinaria capacità di controllo em-pirico delle asserzioni un indebito primato cognitivo, ormai revocato in dubbio pressoché universalmente dagli epistemologi più accreditati. E’ obsoleto, perché non riesce a far rientrare nei propri schematismi il fondamento valoriale del sape-re umano o –se così si preferisce dire- a integrare quella logica del senso di cui le tradizioni religiose sono sempre stati promotrici e custodi -secondo la perfetta osservazione di Wittgenstein: “Il senso della vita, cioè il senso del mondo, possiamo chiamarlo Dio” (Notebooks, 1914-1916, nota dell’11.6.1916). E’ obsoleto, perché at-tribuisce inevitabilmente e indebitamente alla società nella sua dimensione pubblica una funzione occulta e insultante di pedagogia sociale nei confronti di quei cittadini che, aderendo ad una confessione religiosa, vengono insistentemente invitati o a privatizzare la loro identità di fede, in quanto non meritevole di riconoscimento pubblico o, per ottenere tale riconoscimento, a tradurre le proprie istanze religio-se in un linguaggio secolare (e quindi in qualche modo a tradirle). E’ obsoleta, per-ché contro ogni evidenza continua a rappresentarsi la religione come fenomeno pre-moderno, senza voler accettare l’obiettivo dato antropologico che vede nella religione una dimensione strutturale –anche se ovviamente storicamente condizio-nata- dell’auto-interpretazione dell’uomo. 4. E’ necessario pertanto riconoscere che il paradigma della modernità secolarizzata non è più sostenibile e che di fatto siamo entrati in un orizzonte postsecolare, che attiva problemi assolutamente nuovi. Primo tra tutti, quello di riconoscere uno sta-tuto pubblico alla fede religiosa e alle sue ricadute etiche, senza che ciò peraltro attivi dinamiche ottusamente dogmatiche o peggio ancora fondamentalistiche. Per la costruzione di questo orizzonte stanno lavorando i migliori intelletti del nostro tempo, tra i quali è indispensabile citare almeno Jürgen Habermas e quella sua e-semplare lezione, tenuta il 14 ottobre 2001 in occasione del conferimento del Frie-denpreis des Deutschen Buchhandels ed intitolata non a caso Glauben und Wissen, cioè Fede e Sapere. 5. Secondo Habermas, che parte da una prospettiva cognitiva non religiosa (anche se non la si potrebbe definire religiosamente stonata, unmusikalisch, come quella che Max Weber si autoattribuiva) in una società post-secolare la religione può svolgere molti essenziali compiti di carattere pubblico e giustificare la definizione che di essa ha dato Martin Kriele, denominandola paradossalmente una forza dell’ illumini-smo. In primo luogo ad una cultura secolare come quella nella quale siamo immersi, per la quale è dato acquisito il carattere controverso di ogni dimensione del sapere, la religione offre una straordinaria possibilità di lavoro intellettuale cooperativo, un lavoro cioè che riesce a progredire nella misura in cui si giova dell’integrazione delle prospettive della parte avversa, senza squalificarle aprioristicamente. In se-condo luogo, la religione aiuta la cultura secolare a radicare i valori comunitari in una dimensione assiologica non etnica, ma etica, quella per la quale il bene comune indipendentemente da ogni riferimento nazionalistico e da ogni calcolo utilitaristico deve sempre avere un primato sull’interesse dei singoli; essa in particolare aiuta la società secolare a evitare la tentazione prima e il degrado poi dell’individualismo autoreferenziale. E infine essa aiuta la modernità ad evitare quella dialettica dell’ illuminismo che ha inaspettatamente mostrato come l’uso formalmente corretto della ragione possa accompagnarsi alla più spietata barbarie: non basta liquidare la “vecchia credenza” in Dio per liquidare il problema del male e assieme a questo il problema della giustizia. 6. E’ possibile applicare questa considerazioni alla bioetica? Certamente no, se si ap-piattisce la bioetica, riducendola alla giustificazione assiologia dell’unico orizzonte epistemologico ritenuto dotato di senso in una società secolare, cioè quello del sa-pere scientifico. Ora, è evidente che la scienza va rispettata nella sua autonomia epistemologica e che l’orizzonte della fede non ha alcun titolo per sindacarne le ac-quisizioni e i progressi. Ma sotto un diverso profilo, il pensiero religioso può aiutare la scienza a sottrarsi al fascino del riduzionismo e a mantenere la consapevolezza dei propri limiti epistemologici. La scienza non può cogliere la totalità; non studia la realtà in generale, ma la affronta sempre e soltanto nella logica parziale del fram-mento (che verrà denominato, a seconda dei casi, atomo, molecola, cellula, genoma, organo, corpo). Ma l’uomo è a suo modo una totalità, che in quanto totalità sfugge allo sguardo circoscritto dello scienziato. E’ su questo tema, che la religione ha molto da insegnare a tutti noi e alla scienza in particolare. Basti far riferimento a un solo tema, quello, tipicamente teologico, della creaturalità. Creaturalità da un punto di vista strettamente empirico è termine che non veicola alcun significato, ma dal punto di vista della logica del senso è estremamente prezioso, perché ci aiu-ta a tematizzare la distinzione tra il dar forma e vita e il produrre, che la scienza con i suoi strumenti di osservazione non riesce a percepire. Lévinas ha saputo e-sprimere con incredibile forza questa distinzione attraverso un brano del Talmud babilonese (Synhedrin, 37a): “Ecco l’uomo che conia le monete tutte da uno stesso stampo e ottiene pezzi ciascuno uguale all’altro; ed ecco il Re dei Re, il Santo-che-sia-benedetto, che conia tutti gli uomini a partire dallo stampo di Adamo e nessuno rassomiglia ad un altro. E’ per questo che ciascuno può ben dire: il mondo è stato creato per me!” (Les droits de l’homme et le droits d’autrui, in Indivisibilité des droits de l’homme, Fribourg 1987, p. 37). 7. La possibilità per ogni uomo di poter dire: il mondo è stato creato per me, è una –e a mio avviso tra le più suggestive- delle formulazioni del principio della dignità u-mana. Lo schiavo, infatti, è colui che non esiste per sé, ma per il padrone che lo tie-ne violentemente nella sua soggezione. Dignità è quindi nel suo principio ripudio as-soluto della violenza e riconoscimento che ciascun uomo, nella sua singolarità, rap-presenta adeguatamente la totalità del genere umano. Ecco perché, ad es., la clo-nazione riproduttiva non può avere intrinsecamente alcuna valenza etica: proget-tando un individuo clonato come un prodotto e non come una creatura, essa proget-ta un soggetto chiamato al mondo non per rappresentare la totalità del genere u-mano, ma unicamente il soggetto che ha deciso di farsi clonare. Ma non illudiamoci: non è possibile elaborare un argomento scientifico, logicamente irresistibile, che dia fondamento a tal modo di pensare. Qui la scienza deve cedere il passo all’etica; e qui l’etica, anche se legittimamente può pretendere di autofondarsi, negando di possedere nella religione la sua fonte, deve pur riconoscere il decisivo apporto di senso che le proviene dal pensiero religioso. Una società post-secolare non è più in grado di nutrire la convinzione, espressa in modo mirabile da Fichte, per la quale la fede in un governo divino del mondo è l’unica condizione di possibilità dell’azione morale (Über der Grund unseres Glaubens an eine göttliche Weltregierung, in “A-kademie-Ausgabe”, Bd V, 347-357), ma accetterà con gratitudine l’idea essenzial-mente religiosa che un ordine morale del mondo sia possibile e che sia contestual-mente possibile per l’uomo l’esercizio della libertà e l’accettazione della responsa-bilità. Il che corrisponde perfettamente alla splendida risposta che diede una volta Ernst Bloch a chi lo interrogava sulle sue convinzioni religiose: “Sono ateo, per a-mor di Dio!”.