"NESSUNA SELEZIONE DEI PAZIENTI" : INTERVISTA DI FAMIGLIA CRISTIANA AL PRESIDENTE FILIPPO BOSCIA + NOTA CONGIUNTA AMCI E CENTRO LIVATINO

«Nessuna "selezione" dei pazienti, solo ora ci accorgiamo dell'eroismo dei medici?»

FAMIGLIA CRISTIANA del 12/03/2020

Il presidente dei medici cattolici italiani Filippo Boscia: «Il momento è drammatico ma il sistema sanitario può reggere. Il nostro codice deontologico vieta di selezionare i pazienti, vanno curati tutti, nessun mio collega favorisce i giovani sugli anziani». E lancia una stoccata: «Adesso applaudiamo medici e infermieri come degli eroi. Ma fino a ieri? Aggressioni nei Pronto Soccorso, violenze, intimidazioni»

«Nessun medico, anche in questo momento drammatico con l’emergenza Coronavirus, ha mai scelto di privilegiare un paziente giovane che ha bisogno della Terapia intensiva rispetto a uno anziano o ammalato. Sono scelte estreme, da tempi di guerra, ma non siamo a questo punto anche se la situazione, soprattutto in alcune regioni del Nord, è molto molto critica». Filippo Maria Boscia, 74 anni, è presidente dell’Associazione medici cattolici italiani da 8 anni, nonché direttore del Dipartimento per la salute della donna e la tutela del nascituro dell’Azienda Sanitaria di Bari dove per 23 anni «ho vissuto», racconta, «il confine tra la vita e la morte in un reparto di ostetricia “a rischio” di III livello con annessa rianimazione neonatale».

Boscia contesta radicalmente il documento firmato nei giorni scorsi dai medici della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti) nel quale hanno scritto che “può rendersi necessario porre un limite di età all'ingresso in terapia intensiva. Non si tratta di compiere scelte meramente di valore, ma di riservare risorse che potrebbero essere scarsissime a chi ha in primis più probabilità di sopravvivenza e secondariamente a chi può avere più anni di vita salvata, in un'ottica di massimizzazione dei benefici per il maggior numero di persone”. «Non scherziamo», dice Boscia, «il nostro Codice deontologico parla chiaro. I pazienti vanno curati tutti, senza gerarchie o selezione».

Però non può negare che siamo in una situazione molto particolare.

«Certamente ma abbiamo avuto emergenze simili anche in passato con altre epidemie, a cominciare dall’influenza asiatica. Il nostro Codice deontologico raccomanda chiaramente di prestare assistenza al paziente con prognosi infausta o con definitiva compromissione dello stato di coscienza. Questo fa parte dei doveri del medico nei confronti dei soggetti fragili. Su queste basi, ribadite anche dalla Federazione nazionale degli ordini dei medici, non è possibile fare nessuna discriminazione e quindi il problema che pone la Siaarti di fare una selezione non è assolutamente possibile, è eticamente insostenibile e non sarà fatto da nessun medico».

Alcuni suoi colleghi impegnati in prima linea sostengono che purtroppo c’è il rischio di ritrovarsi a fare scelte drammatiche.

«Capisco ma ragioniamo. Teniamo conto che c’è una sanità militare che può essere messa a disposizione, ci sono le cliniche della sanità privata, ci sono strutture temporanee come gli ospedali da campo. Nei mesi scorsi qui a Bari ne abbiamo allestito uno alla Fiera del Levante per fare un’esercitazione. L’emergenza Covid-19 non c’entra, era una sorta di preparazione a eventi particolarmente gravosi come questo. È vero che gli ospedali e i reparti di Terapia intensiva sono in emergenza ma con gli altri canali è possibile affrontare, anche temporalmente, la situazione».

Quindi nessun medico rimanda indietro nessun paziente.

«No. Parlavo con i miei rianimatori che erano piuttosto sgomenti da certe polemiche di questi giorni. Mi dicevano: “ma quando mai abbiamo rimandato indietro i pazienti, anche nelle condizioni più estreme”. È chiaro che bisogna agire nel rispetto di una rigorosa verifica di perizia e diligenza. L’azione medica riguarda tante cose e si mette in atto con il principio di gradualità. Per esempio, non tutti gli ammalati ricoverati in rianimazione hanno bisogno di essere intubati ma devono essere tenuti in regime di ossigenazione migliore rispetto agli altri. L’intubazione è riservata solo a quei pazienti che hanno bisogno della terapia intensiva. In Italia, questo va detto, abbiamo una cattiva abitudine culturale di portare in ospedale persone in fin di vita perché oggi si tende sempre di più a ospedalizzare la morte, perché un morente in casa forse è considerato un impiccio o una responsabilità gravosa per i familiari. Spesso i reparti di Rianimazione sono pieni di pazienti che non sono candidati ad essere intubati, ma che nel momento in cui arrivano in ospedale vengono intubati attesi i tanti problemi legati alla responsabilità del medico e forse anche per medicina difensiva. Se la sofferenza venisse “familiarizzata” di più nel proprio domicilio, i reparti di Rianimazione e Terapia intensiva sarebbero meno sotto stress».

Al Sud com’è la situazione?

«Più complicata perché in molte regioni, dalla Puglia alla Calabria, la sanità è reduce da pesanti piani di rientro. Ad esempio, nell’ospedale Di Venere a Bari ci sono 15 sale operatorie dotate di respiratori e che, in caso estremo, potrebbero essere utilizzati. In questo momento ci stiamo spingendo a preparare un’organizzazione prudente nell’ottica di una catastrofe, solo per mera ipotesi, che condividiamo a pieno perché è bene attivare ogni possibile accortezza: la prudenza non è mai troppa. Però quest’emergenza porta a galla molte altre cose che non vanno e che sicuramente andranno discusse al termine di questa situazione drammatica».

Quali?

«In questo momento va sostenuta la resilienza dei medici che sono in prima linea. Adesso tutti li considerano, giustamente, degli eroi. E prima? In situazioni normali? Abbiamo vissuto situazioni di aggressione e violenza nei loro confronti, in particolare verso i colleghi che operano del Pronto soccorso. I medici, tutti, da Nord a Sud, lavorano con abnegazione e senso di responsabilità sempre, non solo in questa circostanza. È bene ricordarlo. Però ai miei colleghi e a tutti i cittadini attivamente impegnati nella prevenzione lancio anche un appello».

Per cosa?

«Vedo che sono in molti a rendersi protagonisti di dichiarazioni o esternazioni o messaggi allarmistici, che poi sui social diventano virali e spesso ingenerano ansia e preoccupazione. Evitiamo questi messaggi e comunicazioni ad alto contenuto emotivo, limitiamo i protagonismi perché creano infinita ansia e terrore tra le persone e vanno ad indebolire le positive risorse interiori dei medici e degli operatori sanitari tutti e di quanti altri sono impegnati sul campo. Oggi più che mai tutti gli operatori sanitari hanno bisogno di lavorare in assoluta serenità per non essere travolti dal clima di emergenza che andrebbe ad aggiungersi alla sindrome di burnout, di esaurimento emotivo, che psicologicamente può schiacciarli».

 


 

 

Centro studi Rosario Livatino

 

AMCI-Associazione Medici Cattolici Italiani

 

Emergenza Covid19 e risorse disponibili

 

Deontologia medica - perplessità sulle Raccomandazioni SIAARTI

 

 

L’emergenza Covid19 sta mettendo a dura prova il sistema sanitario, in particolare i reparti di terapia intensiva nelle Regioni finora maggiormente interessate dall’epidemia. Il 6 marzo SIAARTI-società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva ha pubblicato le Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali
di squilibrio tra necessità e risorse disponibili, che parte dalla constatazione dell’“enorme squilibrio tra le necessità cliniche reali della popolazione e la disponibilità effettiva di risorse intensive” (http://www.siaarti.it/SiteAssets/News/COVID19 - documenti SIAARTI/SIAARTI - Covid19 - Raccomandazioni di etica clinica.pdf).

 

Le Raccomandazioni SIAARTI stanno provocando non poche discussioni, e sono state seguite, il 7 marzo, da una nota del dott. Filippo Anelli, presidente della FNOMCEO-federazione degli Ordini dei medici, che richiama al rispetto del codice deontologico e alla eguale cura, senza discriminazioni, che ogni paziente merita dal medico (https://portale.fnomceo.it/anelli-fnomceo-su-documento-siaarti-nostra-guida-resta-il-codice-deontologico/).

 

Il Centro studi Rosario Livatino e l’Associazione Medici Cattolici Italiani premettono quanto segue:

 

  1. Oggi, ancora più di quanto non sia doveroso in una condizione ordinaria, è dovuto ai medici e a tutto il personale sanitario rispetto e sostegno per la loro dedizione e il loro impegno, soprattutto quando si svolge in reparti che espongono direttamente a gravi rischi per la salute, con turni che - al di là del pericolo di contagi - sono fonte di stress e richiamano a importanti responsabilità.

  2. Perché queste non siano parole vuote, rispetto e sostegno significa che tutti, pazienti e non, cessino di considerare il medico una controparte da chiamare in giudizio “in automatico”, a prescindere dalla rigorosa verifica della sua perizia e della sua diligenza, se non ottiene il risultato auspicato.

  3. Un simile atteggiamento, che si riflette sulla non infrequente propensione dell’autorità giudiziaria a far seguire a ogni denuncia l’avvio di un procedimento penale a carico del medico, è squilibrato in sé: lo è ancora di più in una fase di emergenza, che pone il medico di fronte a scelte drammatiche da assumere in tempi rapidi, con una inevitabile maggiore possibilità di errore.

  4. Un contesto del genere sembra essere alla base delle Raccomandazioni SIAARTI, se il documento afferma espressamente che esse hanno anche lo scopo “di sollevare i clinici da una parte della responsabilità nelle scelte, che possono essere emotivamente gravose”. La preoccupazione - in sé fondata - è che non si creano assurde attitudini di colpevolizzazione dei medici, che non si favorisca la presentazione di querele pretestuose, che si eviti di dar seguito a denunce infondate, che si articolino delle regole che permettano di affrontare con minore angoscia una eventuale chiamata in giudizio, in linea con la c.d. “medicina difensiva”.

 

Osservano che:

 

  1. Se la situazione è eccezionale, in quanto tale essa non può essere oggetto di regole di carattere generale e astratto, se pure nella forma delle “raccomandazioni”. Un documento che abbia caratteristiche generali è logicamente incompatibile con quello stato di emergenza che sfugge alle catalogazioni. Se i motivi dell’emanazione delle raccomandazioni sono comprensibili (tutelare i medici da ingiuste aggressioni), tuttavia esse presentano il rischio di togliere al medico il diritto-dovere di provvedere, nel caso concreto, alla scelta giusta, in quanto appropriata alla situazione clinica che egli si trova a fronteggiare.

  2. Riesce difficile definire la portata delle “raccomandazioni”: costituiscono un’appendice nuova al codice deontologico? potranno essere invocate come scriminante? che cosa accade per chi se ne discosti?

  3. In realtà, oltre a rappresentare il riflesso dei condizionamenti prima indicati, le “raccomandazioni” risentono non poco dei più recenti interventi normativi e giurisdizionali in tema di fine-vita. E’ sufficiente leggere il n. 5 di esse, che invita a considerare “con attenzione l’eventuale presenza di volontà precedentemente espresse dai pazienti attraverso eventuali DAT (disposizioni anticipate di trattamento)”. Come per le DAT, le raccomandazioni” patiscono il limite logico di indicazioni - con carattere più o meno vincolante - “ora per allora”: possono costituire un orizzonte di massima, non un principio cogente, proprio perché sono espresse in termini generali, prescindendo dalla concretezza del caso nel momento in cui si presenta con caratteristiche proprie, specifiche, non sempre previamente catalogabili. Ogni condotta deve essere sempre valutata con riferimento alle circostanze che l’hanno accompagnata, non a quelle future: fra le ricadute negative della legge n. 219/2017 e della sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019, vi è la consacrazione normativa di una mentalità che mette fuori gioco determinate categorie di persone.

  4. Volendo essere ancora più espliciti, non stiamo parlando di impartire disposizioni nel caso di presenza contestuale di più pazienti: in tal caso ad impossibilia nemo tenetur, ed è chiaro che il medico dovrà fare valutazioni che tengano conto del quadro clinico complessivo, cioè, unitamente alle altre circostanze, anche dell’età del paziente, che incide sulle prospettive complessive di guarigione. Si tratta invece di evitare il preventivo abbandono in attesa di pazienti più meritevoli: se le “raccomandazioni” fossero intese in questa direzione, alla fine il giudizio etico diventerebbe superfluo, introducendo una sorta di automatismo, invece del necessario esame della situazione concreta che il medico ha davanti. Se arriva in reparto una persona che può essere curata e salvata, nessuna “raccomandazione” può dissuadere dal curarla sulla base della previsione che altri potrebbero avere bisogno a breve della terapia intensiva. Il criterio non può essere solo quello della priorità temporale: non possono esserci criteri diversi dalla appropriatezza clinica, considerata sotto l’aspetto della ragionevole speranza di guarigione. Ogni altro criterio apre le porte a una discrezionalità che sfocia nell’arbitrio sanitario.

  5. L’emergenza terminerà: con sforzo enorme, con sacrifici, in tempi oggi non prevedibili. Nessuno però può assicurare che “raccomandazioni” varate con le migliori intenzioni in un tempo eccezionale, domani non divengano i criteri ordinari, in linea con un orientamento affermatosi in non pochi Stati nel mondo, a fronte di risorse per la sanità sempre strutturalmente limitate. In altri termini, le “raccomandazioni” non devono offrire ai governo la strada per ridurre ulteriormente le risorse curative in favore della popolazione.

 

Per concludere. L’emergenza Covid19 può costituire occasione, più che per “raccomandazioni” che mostrano i limiti appena sintetizzati, di riflessioni:

  1. sul rispetto del ruolo del medico e del personale sanitario, da parte di tutti, autorità giudiziaria inclusa;

  1. sul rispetto della drammaticità della scelta del medico nel caso concreto;

  2. sui pericoli della “medicina difensiva”;

  3. sulla opportunità di ripensare le scelte che hanno determinato l’approvazione della legge sulle DAT e della sentenza della Consulta sul suicidio assistito;

  4. sul valore del codice deontologico medico, che oggi FNOMCEO opportunamente evoca a fronte delle Raccomandazioni SIAARTI, ma che appena un mese fa aveva subordinato all’acritico recepimento della sentenza 242/2019 della Corte costituzionale.

 

Roma, 10 marzo 2020