Transessualismo

Cambiare sesso con la chirurgia può essere un brutto scherzo della medicina in risposta ad un brutto scherzo della natura.
Prof. Filippo M. Boscia

La scienza che è maestra di vita ci insegna che il transessualismo costituisce una realtà clinica ancora confusa e incerta che rientra nel grande capitolo delle variazioni dell’identità di genere.
Dopo 30 anni di intense ricerche nella clinica del transessualismo non si è ancora giunti all’identificazione dei meccanismi responsabili dell’alterata strutturazione dell’identità di genere. Le origini rimangono ancora per gran parte sconosciute e molto lavoro ci attende per trovare corretti inquadramenti psicologici e terapeutici.
Comunque trattasi di un complesso fenomeno biologico nel quale molti elementi sono ancora indefiniti e mancano risposte dirimenti.
Di certo il consolidamento dell’identità di genere per alcuni individui attraversa percorsi estremamente complicati e travagliati e tempi variabili.
La chirurgia di queste entità del sentire è in notevole espansione sia per la forte domanda, sia per la crescita di interresse degli operatori sanitari, associata alla disponibilità di presidi tecnologicamente avanzati.
Molti dei pazienti transessuali si orientano al miglioramento degli standard di cura.
Senz’altro il progresso scientifico è un’importante acquisizione per l’uomo e un enorme bene per l’umanità: non può e non deve essere fermato.
A fronte di una chirurgia sempre più in espansione, va certamente sottolineato che esistono moltissimi pazienti scontenti dopo tecniche di correzione, i cui esiti sono stati scarsi e inefficaci, altri che si sentono più appagati, altri con esiti chirurgici eccellenti sono infelici e anche desiderosi di ritornare alla condizione precedente!
Aimè questi fattori di parziale o totale efficacia/inefficacia confermano che quelle che noi oggi dichiariamo conquiste sono in realtà delle sconfitte e forse delle vere e proprie mutilazioni. Tanto più spesso si ha notizia che, a distanza, sono tragicamente vissute proprio da coloro che le avevano sostenute.
Oggi, anziché approfondire ogni opportuna ricerca o conoscenza su questo argomento si tenta impropriamente di seguire scorciatoie o vie giudiziarie per il riconoscimento di diritti e di doveri.
In questo contesto ogni rifiuto ad entrare e a completare o perfezionare codificati percorsi di cura deve essere fatto salvo. Ogni ritiro da qualunque programma terapeutico è diritto inalienabile di ogni persona e tale rigetto non esclude quanti da tempo inseriti in travagliati percorsi di orientamento.
Il pronunciamento giuridico credo promuova tale diritto, in quanto l’intervento non solo può essere inutile ma anche mutilante.
In proposito credo che ogni manipolazione della persona umana sia da considerarsi fuori della vocazione originaria dell’uomo: Occorre stare molto attenti perché sapere e potere nelle manipolazioni possono diventare dominio, soprattutto in sindromi cliniche, le cui origini rimangono in parte ancora sconosciute.
Sono convinto che ogni manipolazione e ogni modellamento artificioso debba rispettare la “legge dei confini”. La dignità dell’uomo e la legge dei confini emergono come criterio fondamentale tanto importante da non potersi mai eludere. Molti dei raccontati traguardi spesso si verificano e si celebrano in un’atmosfera di altissima tensione etica. Sono tanti i cosiddetti fattori di efficacia sempre proclamati, ma mai garantiti, con risultati in alta percentuale non positivi,o non più accettabili. Possiamo a ragione sostenere che ogni processo di riattribuzione sessuale deve essere profondamente meditato.
Voler a tutti i costi riaprire la vita al “migliore essere” di ogni “persona” è e rimane la più grande violenza sull’uomo, sulla donna, sul bambino!
Per gli psichiatri e per tutti i professionisti che partecipano a questo delicato percorso della medicina è assolutamente indispensabile, una guida etica che va continuamente emendata contro ogni forma di abuso.

Boscia: riflessioni sul caso di Catania

L’ennesimo caso di presunta malasanità culminato con la morte della neonata di Catania deve far riflettere, più che sulle colpe dei medici - tutte da dimostrare! - sulle incongruenze di un sistema che, malgrado il periodico ripetersi di tragici eventi, non è in grado di trarre da essi e da esperienze precedenti più o meno tragiche, gli utili insegnamenti per cercare di migliorarsi.

Siamo accanto alle famiglie che subiscono inenarrabili dolori, lutti, strappi laceranti sul codice più intimo dei sentimenti e partecipiamo al loro dolore.
Come medici cattolici non possiamo sottrarci dal rendere pubbliche alcune nostre considerazioni:

Come testimoniano le statistiche, un sempre maggior numero di donne arriva al concepimento in età matura e, purtroppo disinformate sugli aspetti biologici della riproduzione e sul progressivo calo della riserva ovarica (già a 30 anni diminuita del 90%) è quasi certo che gran parte di esse si ritrova costretta in età avanzata a far ricorso alla procreazione medicalmente assistita, ed è ovvio che capiti sempre più di frequente che finiscano col nascere bambini più piccoli rispetto all’età gestazionale, molto spesso prematuri, tutti sempre più bisognevoli di cure particolari.

Gli esperti di organizzazione sanitaria, i rispettivi ministeri competenti per il management sanitario globale devono sapere che da ciò e da altro ancora scaturisce la necessità di disporre di un numero di culle di accoglienza nelle terapie intensive neonatali, strutture di rianimazione, che può andare ben oltre quello previsto dagli standard e calcolato in base al numero di parti per anno in un determinato territorio.
E’ questo il motivo per cui non è infrequente che le terapie intensive neonatali siano al completo e che si trovino molto spesso nell’impossibilità di fornire ogni indispensabile ma anche insostituibile assistenza.

Ecco che allora sempre più di frequente si determinano eventi che impongono la ricerca disperata dì un posto disponibile, in un centro talvolta molto lontano rispetto al punto nascita e, dando pur per buona ogni sua dotazione di esercizio conforme a quanto disposto dal Progetto Obiettivo Materno Infantile (POMI), il neonato deve essere colà avviato e accompagnato da un servizio di trasporto neonatale dedicato, purtroppo inesistente su gran parte del territorio italiano o non completamente adeguato per quel che riguarda sia le attrezzature di trasporto (ovvero le ambulanze dedicate) che il personale di assistenza.

E’ noto da tempo che il trasporto neonatale nella maggior parte delle regioni italiane è inesistente o inadeguato: A ciò deve aggiungersi la insensata dislocazione delle terapie intensive, che per ignote strategie sono spesso concentrate nelle grandi città, così da lasciare scoperti ampi spazi del territorio, ove, malgrado tutti i riordini ospedalieri, ancora persistono piccoli punti nascita con parti per anno numericamente esigui, spesso tanto al di sotto dei minimi standard.

Quel che è accaduto a Catania, così come descritto dalle cronache, è l’esatto contrario di quanto dovrebbe avvenire: trasporto non dedicato, che cerca la sede nella macroarea di riferimento, pur essendoci al di fuori disponibilità più vicina; impossibilità di fruire dell’elicottero, non previsto nelle ore notturne; lentezza e difficoltà nella comunicazione, quasi inevitabili quando bisogna di volta in volta inventarsi una soluzione.

Quindi le responsabilità sono da ricercare, ancora una volta, nelle scelte organizzative e soprattutto politiche, che, tra errori di programmazione e risparmi sempre più pressanti, determinano fin troppo spesso situazioni insostenibili, sia per gli operatori che per l’utenza. Una amara realtà che va ammessa e va sottolineata con energia proprio nella convinzione che tali problematiche, ancora non sostenibili, non debbano mai rilevarsi nella nostra società abbastanza opulenta!
Ma nessuno parla, nessuno va a colpire l’atipico sistema istituzionale, organizzativo, e quello politico, molto spesso clientelare.
Questi eventi ben conosciuti da tempo, che periodicamente riaffiorano, non possono continuare a suscitare semplice stupore e incredulità nei vertici politici istituzionali della nostra amata repubblica, perché questa è forse l’ingiuria più grande che i cittadini, soprattutto i più indifesi, subiscono!
Le istituzioni se vogliono trasmettere speranza e rigenerare il coraggio di andare avanti, devono avere la volontà di attivarsi e proporre azioni di sfida, devono affrontare tutte le difficoltà, cercando di superarle, dando risposte che contribuiscano a rendere il fossato dell’emergenza sempre meno profondo.


Prof. Filippo M. Boscia
Presidente Nazionale AMCI (Associazione Medici Cattolici Italiani)
Già Direttore del Dipartimento per la salute della donna e la tutela del nascituro della ASL BA

Da Radio Vaticana.va Intervista a Boscia su Bimbo Down abbandonato

Sta facendo discutere in tutto il mondo la decisione di una coppia australiana che, dopo aver avuto due gemelli da una madre surrogata in Thailandia, ha deciso di abbandonare il maschio di nome Gammy, affetto da sindrome di Down, e di tenere soltanto la sorellina. La notizia, riportata dalla Bbc, è stata subito ripresa dai social network. Il bimbo, ora di 6 mesi, ha una grave patologia cardiaca e ha bisogno di cure urgenti. La mamma naturale, una giovane thailandese di 21 anni che ha rifiutato l’aborto, ha già due figli e ha coraggiosamente deciso di occuparsi del piccolo: ha chiesto però aiuto, perché i 15 mila dollari che ha ricevuto per prestare il proprio utero - inizialmente destinati agli studi dei due figli - non sono sufficienti a far curare Gammy.

Un giornale thailandese ha lanciato una campagna di solidarietà, che ha già raccolto 120.000 dollari. Sulla vicenda, Giada Aquilino ha raccolto il commento di Filippo Maria Boscia, docente di Bioetica all’Università di Bari e presidente dell’Associazione medici cattolici italiani:
R. - Quando la tecnica lascia credere che tutto sia possibile, l’individuo l’interpreta come "tutto mi è dovuto" e il suo desiderio viene battezzato come un diritto. E lo stesso individuo intende far valere sempre con forza tale diritto presso le tutte le autorità sociali. In questo momento, siamo in un’isteria del progresso. Il diritto al figlio sta diventando "diritto al figlio perfetto". Quindi, in sostanza, l’effetto principale è che quando la scienza e la tecnica vengono applicate al procreare si lascia uno spazio aperto ad una serie di nuove libertà e nuovi domini della natura. La madre che ha portato avanti la gestazione si è invece preoccupata di guardare alla centralità del figlio: è questo l’elemento principale. E’ importante che in tutto il mondo si prenda coscienza che, quando si passa nella fase della procreazione, non sono più un uomo e una donna soltanto ad avere il dominio e la decisionalità di tutto, ma c’è un terzo componente importante: l’embrione.
D. - Papa Francesco più volte ha parlato della “cultura dello scarto”, le cui vittime - ha detto - sono proprio gli esseri umani più deboli e fragili, ad esempio i nascituri. Perché si è arrivati a questo punto?
R. - Perché la scienza mortifica lo statuto dell’embrione. I diritti dell’embrione devono essere fatti valere, ma chi accetta in questa società così modificata di difenderli? Noi abbiamo un silenzio, una mortificazione circostante, che agisce proprio come anestesia sociale. E questo consente pure che i tecnici si spingano oltre misura, anche con dei gesti che praticamente vengono dati come semi del progresso, ma sono semi della minaccia. Giustamente, Papa Francesco considera che ci debbano essere specifiche norme, diciamo speciali. Io direi che le norme della coscienza devono impedire ai poteri forti di utilizzare le metodiche riproduttive in maniera impropria, o seguendo un’onda di collettiva emulazione. Noi, soprattutto noi cattolici, non possiamo tacere.
D. - Proprio il Pontefice ha denunciato il rischio di essere scartati, espulsi da un ingranaggio che deve essere efficiente a tutti i costi. E’ il caso di Gammy?
R. - E’ quello che è successo. Questo bambino è nato, ma ci sono Centri italiani nei quali nel momento in cui viene riscontrato un bambino Down, al terzo mese di gravidanza, si fa una iniezione endouterina e quel bambino viene già scartato ancor prima di nascere, consentendo solo al sano di poter venire alla luce. Salvo poi a registrare casi come quello di Milano, dove un bambino che doveva essere scartato era invece sano…
D. - Dall’utero in affitto al rifiuto di un figlio con sindrome di Down: al di là della fede, dell’etica, è una questione di dignità umana che è in gioco?
R. - L’utero in affitto è già praticamente un attacco all’embrione e alla dignità umana. Mina la genitorialità che diventa asimmetrica, mina la genetica che, in sostanza, si rende responsabile delle trasmissioni delle malattie. Compromette il rapporto educazionale e relazionale, può creare delle crisi di identità, ma soprattutto crea delle situazioni di abbandono della vita che si dice ‘non degna’ di essere vissuta.
D. - Cosa augurarsi per Gammy, il bambino nato in Thailandia?
R. - Augurerei che siano in molte le coppie del mondo capaci di sostenere lo splendido atto di coraggio che la donna thailandese ha avuto. Forse, questo bimbo è il testimone credibile e vivente di quello che è invece il "guasto"

Qui l'audio dell'intervista

 

dal sito http://it.radiovaticana.va/news/2014/08/02/bimbo_down_supera_la_cultura_dello_scarto/1103876

Boscia - Tutelare la libertà degli operatori

Una totale disattenzione al tema della vita in un paese dove la denatalità è ai massimi storici. Per Filippo Boscia, presidente dell'associazione medici cattolici (Amci) il caso della pillola del giorno dopo è emblematico delle difficoltà che in Italia incontrano queste tematiche. Il punto di partenza è che l'Agenzia italiana del farmaco per adeguarsi alla normativa europea ha sposato in pieno la teoria che classifica questo farmaco come contraccettivo e non abortivo. "Questo fa sì che ogni rifiuto legittimo nella prescrizione venga visto come un rifiuto ideologico, in questo modo viene lesa la libertà e l'autonomia dei singoli operatori sanitari" spiega Boscia.

Medici e giuristi cattolici stanno portando avanti una battaglia per chiedere una modifica della classificazione della pillola del giorno dopo perché ritengono che ci siano degli effetti abortivi scientificamente dimostrabili. "La nostra è una battaglia di salvaguardia non di retroguardia nei confronti dei principi irrinunciabili" dice Boscia. L'Amci ha anche presentato un ricorso al Tar del Lazio contro il decreto della Regione che obbligava gli operatori sanitari dei consultori ad erogare tutte prestazioni, dalle interruzioni di gravidanza alle prescrizioni di pillole abortive.

Anche il caso di Voghera va in questa direzione di mettere a tacere il diritto all'obiezione di coscienza. Con lo spauracchio di procedimenti sanzionatori, peraltro dal punto di vista legale legittimi in virtù del fatto che il farmaco è ritenuto contraccettivo. "Bisogna sollevare il problema - conclude Boscia - anche perché la situazione delle prescrizioni è fuori controllo, da tempo chiediamo al ministero un registro".

210714 Boscia a UnoMattina

Il Presidente dell'AMCI Filippo Maria Boscia intervistato a Uno Mattina su Rai1 sulla fecondazione eterologa

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